Un fumetto, per essere definito tale, deve rappresentare un’azione in una sequenza di vignette e deve essere fornito di dialoghi all’interno delle nuvolette. Da secoli abbiamo esempi separati con l’uno o l’altro elemento, ma solo in tempi relativamente recenti questi si sono saldati dando vita, appunto, al fumetto. Vediamo come sono andate le cose.
Gli illustratori si sono spesso serviti della vignetta singola accompagnata da un testo. A volte, il testo corrispondeva ai dialoghi dei personaggi rappresentati. In questi casi, veniva scritto in un “contenitore” all’interno dell’immagine.
All’inizio questo spazio per il testo era a forma di cartiglio, cioè di una pergamena srotolata.
In seguito, un angolo del cartiglio è stato rivolto verso la bocca del personaggio che parla.
Nel corso dei secoli, la pergamena si è lentamente smussata trasformandosi nella nuvoletta (o balloon) che conosciamo oggi.
In alternativa al cartiglio, con l’utilizzo del tabacco, arrivò la nuvoletta di fumo (da qui la parola italiana “fumetto”), che però non ebbe particolare successo.
Dal 1940 circa verrà usata solo per indicare i pensieri.
Oltre alla vignetta singola, con o senza cartigli, i disegnatori avevano altre modalità espressive, come la rappresentazione di una storiella attraverso una semplice sequenza di vignette, a volte accompagnate da didascalie. Stranamente, come abbiamo detto, per secoli i disegnatori non hanno mai collegato la sequenza delle vignette con le nuvolette, se non in casi sporadici e privi di sviluppi.
Lo svizzero Rodolphe Töpffer (1799-1846) è stato l’autore che ha usato con maggiore consapevolezza quella che in futuro sarebbe stata definita tecnica fumettistica (sia pure con dialoghi privi di nuvolette).
Tra i precursori, un autore che, sia pure involontariamente, ha contribuito a porre le basi della nascita del fumetto c’è il tedesco Wilhelm Busch (1832-1908). Disegnatore, scrittore e poeta di valore, nel 1865 Busch crea Max e Moritz. Una coppia di bambini terribili che ne combinano di tutti i colori, in sequenze di vignette accompagnate da didascalie.
Il successo di Max e Moritz è stato fenomenale. Il libro, continuamente
ristampato fino al 1963, viene amato da generazioni di tedeschi. Adolf
Hitler lo teneva sempre sul comodino: solo i cartoni animati di Topolino
gli piacevano di più (e poi dicono che i fumetti non fanno male!).
La coppia di Max e Moritz in Germania è talmente “iconica” da essere stata utilizzata recentemente per presentare un’inchiesta sull’integrazione degli immigrati.
Prima di arrivare alla nascita definitiva del fumetto, dobbiamo considerare le riviste satiriche, come “Puck”, che escono negli Stati Uniti durante l’ottocento. Vi lavorano artisti del calibro di Richard F. Outcalt e Frederick Burr Opper, i quali saranno tra i primi autori di fumetti.
Qui sotto una copertina di “Puck” disegnata da Opper, nella quale lo spilungone Zio Sam (gli Stati Uniti) battibecca con il grasso John Bull (la Gran Bretagna).
Nell’ultimo decennio dell’ottocento, l’editore del “New York Journal”, William Randolph Hearst, e l’editore del “New York World”, Joseph Pulitzer
(che darà il nome al famoso premio giornalistico), si domandano come
sfruttare la nuova possibilità di stampare a colori gli inserti
domenicali dei loro quotidiani. All’inizio provano a presentare le
immagini di quadri famosi, ma il pubblico non ne sembra entusiasta.
Hearst era un magnate della carta stampata, noto ancora oggi per il film “Quarto potere”, dove Orson Wells lo ritrae in maniera provocatoria. In effetti Hearst era un personaggio discutibile. Per esempio, attraverso una campagna di stampa contribuì a trascinare gli Stati Uniti in guerra contro la Spagna per rendere indipendente Cuba, l’ultima sua colonia americana.
Ecco un’immagine pubblicata dai quotidiani di Hearst per far ribollire il sangue dei propri lettori e prepararli così alla guerra: la polizia spagnola denuda una donna americana per cercarle addosso messaggi diretti ai rivoltosi cubani.
A un certo punto, nell’inserto domenicale a colori del proprio quotidiano, Hearst decide di pubblicare le vignette umoristiche. Altri giornali hanno la stessa idea, in particolare il “New York World” di Pulitzer. I disegnatori ingaggiati provengono da riviste satiriche come “Puck”, che in quel momento sono molto popolari.
In questi nuovi inserti domenicali, dal 1895 il disegnatore Richard Outcault presenta le tavole di un ragazzino dei bassifondi vestito di giallo: Mickey Dugan detto Yellow Kid, il ragazzino giallo. Per molto tempo si è ritenuto, a torto, che fosse proprio Yellow Kid il primo fumetto continuativo (tanto da dare il nome al premio della manifestazione fumettistica di Lucca). Invece non siamo ancora arrivati al fumetto vero e proprio, perché il personaggio viene presentato in grandi vignette con testi sparsi. Una tecnica vecchia di secoli.
Nel 1897, il direttore della sezione a fumetti di Hearst, Rudolph Block, contatta un altro autore destinato a diventare celebre. Si tratta di Rudolph Dirks,
un disegnatore nato in Germania. Block commissiona a Dirks un vero e
proprio plagio dei Max e Moritz di Wilhelm Busch. (O forse di Peter e
Paul, un’altra coppia di ragazzini ideata sempre da Busch per cavalcare
il successo di Max e Moritz).
L’idea originaria potrebbe essere
dello stesso Hearst, che segue da vicino il supplemento domenicale e i
fumetti che vi verranno via via pubblicati (l’ultimo che approverà prima
della morte sarà Beetle Bailey di Mort Walker), ed avendo frequentato
le scuole in Germania di certo conosce Max e Moritz.
Comunque, le prime tavole di The Katzenjammer Kids (che da noi diventeranno Bibì e Bibò), pur essendo realizzate con una sequenza di vignette, sono ancora prive di nuvolette. Quindi neppure loro sono veri fumetti.
Il look dei due piccoli immigrati tedeschi cambia nel tempo per diventare quello a noi noto. Alla fine compaiono anche le nuvolette, facendo di Bibì e Bibò una vera serie a fumetti: forse è stata la sequenza delle vignette, necessaria per mostrare gli scherzi delle due piccole pesti, a costringere Dirks a utilizzarle con continuità.
Quando è accaduto esattamente? Le copie superstiti dei supplementi
domenicali di fine ottocento sono rare e disperse. Credo che nessuno le
abbia viste tutte.
Un altro autore da segnalare tra i primi creatori di fumetti è Frederick Burr Opper, del quale abbiamo già visto una copertina per “Puck”. Si tratta dell’ideatore di Happy Hooligan, noto da noi con il nome di Fortunello.
Fortunello, pubblicato in Italia dal Corriere dei Piccoli, è stato portato in teatro dal grande Ettore Petrolini.
Nei primi anni del novecento la tecnica del fumetto è ormai ben distinta dalla produzione tradizionale degli illustratori umoristici, diventando un genere a parte.
(Alcuni sostengono che le sequenze di vignette senza nuvolette siano già fumetti. No, non lo sono propriamente. Phantom non è un supereroe perché è uscito alcuni anni prima di Superman, mentre Batman lo è per convenzione perché uscito dopo Superman. Lo stesso vale per le sequenze di vignette senza nuvolotte: prima del fumetto non erano fumetti, dopo la nascita del fumetto lo diventano per convenzione).
È giusto chiedersi chi sia stato il responsabile della definitiva creazione del fumetto, che unisce la sequenza delle vignette alle nuvolette. L’autore Dirks? Il direttore Block? L’editore Hearst? Tutti e tre sono legati in un modo o nell’altro alla Germania e, quindi, conoscitori delle opere di Busch. Da quale anno il fumetto ha cominciato a essere pubblicato senza interruzione?
Insomma, la domanda chiave è: chi è stato il primo a pubblicare fumetti definitivi (cioè composti da sequenze di vignette più nuvolette) in maniera permanente inducendo gli altri a imitarlo? Credo che, al momento, nessuno sappia rispondere con certezza.
Sarebbe
auspicabile che un editore ristampasse tutte le prime sezioni a fumetti
domenicali: essendo formate da sole 4 pagine, un volume con un’annata
del “New York Journal” ne avrebbe 208.
Forse solo così potremo scoprire le autentiche origini del fumetto.
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