TINTIN E IL NAZISMO

I testi critici su Tintin offrono il meglio nella parte propriamente fumettistica, mentre sono piuttosto carenti in quella storica. Io, che non sono un grande esperto di Tintin, cercherò di descrivere l’atmosfera politica dell’Europa prima e durante l’occupazione nazista, per analizzare da questo punto di vista le scelte non proprio apprezzabili di Hergé, l’autore di questo personaggio.

Oggi i nazisti sono visti in chiave hollywoodiana. Per esempio, in una storia autoconclusiva a fumetti dell’americano Howard Chaykin, “The last time I saw Paris”, pubblicata nella serie “Solo” della Dc Comics, vediamo un nero americano che, nel 1940, si risveglia nella Parigi improvvisamente occupata dalle truppe tedesche. Il “negro” si dà alla fuga disperata perché i nazisti, essendo razzisti, lo farebbero fuori a prima vista.

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In realtà, i neri che vivevano nella Germania di Hitler non erano perseguitati. Venivano perseguitati “solo” gli ebrei e gli zingari. Inoltre, l’America nel 1940 era ancora neutrale e quindi i cittadini degli Stati Uniti nella Francia occupata dai tedeschi erano trattati con il dovuto rispetto. Direi, anzi, con la deferenza tipica degli europei nei confronti degli americani. Neppure un ebreo americano avrebbe dovuto temere per la propria sorte. Quando l’America entrò in guerra, gli ebrei americani vennero trattati dai tedeschi correttamente come gli altri prigionieri. Erano trattati peggio i tedeschi prigionieri degli americani. Questo non significa che i nazisti fossero sempre dei secondini “buoni”, perché con i prigionieri di guerra russi si comportavano da criminali con la scusa che Stalin non aveva sottoscritto la convenzione di Ginevra.

Per capire la posizione politica di Hergé, il creatore di Tintin, bisogna tenere conto del fatto che in Europa, prima dell’occupazione tedesca, ci sono almeno tre diversi “fascismi”.
C’è il fascismo di Mussolini: laico, ma che lascia alcuni spazi alle organizzazioni cattoliche.
C’è il nazismo di Hitler, ancora più laico, tanto che la chiesa cattolica e quella luterana a volte vengono maltrattate. Mentre in alcuni casi sono le chiese a vincere, per esempio quando si oppongono all’eutanasia voluta da Hitler per eliminare le persone affette da gravi disturbi mentali.
Infine c’è una sorta di fascismo “clerical-reazionario” che, negli anni trenta, prende il potere pacificamente in Austria e attraverso la guerra civile in Spagna. I clerical-reazionari sono molto attivi anche nei paesi francofoni (la Francia e il Belgio) sin dalla Rivoluzione Francese.

Per noi, questi “tre fascismi” sembrano quasi la stessa cosa: in realtà si detestano a vicenda. Mussolini, per dire, è l’unico capo di stato europeo a mandare le truppe al confine per fermare la Germania di Hitler durante il suo primo tentativo di conquista dell’Austria. Poi, da nemico di Hitler, Mussolini diventa suo amico nella speranza di guadagnarci qualcosa.

I clerical-reazionari austriaci odiano Hitler, anche perché devono contrastare le sue mire annessionistiche. Alla fine, però, Hitler conquista l’Austria, e pure il Belgio e la Francia. Questo provoca il passaggio dei clerical-reazionari nelle file degli ex nemici nazisti, così come in Italia i fascisti, almeno quelli che rimangono tali dopo la caduta del governo di Mussolini, accettano l’egemonia nazista nella Repubblica Sociale.

La posizione di Hergé va vista in questo contesto vario e mutevole. Nei primi anni trenta, Hergé fa parte del blocco clerical-reazionario, portandone nei fumetti le istanze politiche in maniera didascalica. Abbiamo così Tintin nel Paese dei Soviet, dove attacca il comunismo; Tintin in Congo, dove elogia il colonialismo più ottuso del mondo (quello belga); Tintin in America, dove identifica la società liberale con il gangsterismo. Gli stessi concetti si possono leggere negli articoli dei giornali clerical-reazionari. Hergé non lavora sotto dettatura, crede profondamente in questi ideali.

All’epoca, come gli altri clerical-reazionari, Hergé detesta il laicismo di Mussolini e, soprattutto, quello “quasi pagano” dei nazisti. I belgi francofoni, poi, odiano i tedeschi a prescindere: durante la Prima guerra mondiale gli invasori avevano fatto di tutto per alimentare la rivalità dei fiamminghi (cioè degli olandesi belgi) nei loro confronti. Il contrasto dei belgi valloni con Hitler si acuisce quando questi, ormai alleato di Mussolini, riesce a occupare la clerical-fascista Austria. I clerical-reazionari belgi, e quindi anche Hergé, sono più che mai antinazisti quando Hitler sta per minacciare pure la loro integrità nazionale, dopo quella austriaca.

I tedeschi il Belgio lo invadono davvero. A questo punto, come abbiamo già detto, molti clerical-reazionari passano dalla parte dei nazisti, fino a quel momento aborriti malgrado diverse affinità ideologiche. Tra questi opportunisti c’è lo stesso Hergé, il quale disegna Tintin per la nuova edizione nazista di “Le Soir”, il principale quotidiano belga. Non è vero, come dicono i suoi solerti difensori, che lo fa spinto dalla fame, perché Hergé è già famosissimo e troverebbe lavoro in qualsiasi testata a fumetti. Lo fa per ingordigia, perché “Le Soir” paga meglio degli altri. Ai tedeschi basta che i cittadini delle nazioni invase stiano tranquilli, non pretendono fedeltà ideologica. Ai danesi occupati permettono persino libere elezioni, dove vincono i partiti democratici. Nessuno, quindi, chiede a Hergé di realizzare opere filonaziste. E anche se uno glielo chiedesse, lui sarebbe libero di rifiutare. Questo nel Belgio con in tedeschi veri, non con quelli hollywoodiani, s’intende. Invece gli adoratori di Hergé, molto giustificazionisti verso le sue scelte filonaziste, lo presentano assurdamente in pericolo di vita come il “negro” di Chaykin.

Hergé, in realtà, ha scelto di trasformare Tintin in un piccolo nazista anche perché a un certo punto inizia a credere che Hitler sia “l’uomo della provvidenza”. Come tanti altri, è soggiogato dal nazismo nella sua fase trionfante. Anche perché il successo, di qualsiasi tipo sia, attira sempre frotte di ammiratori. Ma appena la vittoria finale tedesca si allontana, Hergé, proprio quando più ci sarebbe bisogno di lui per sostenere la causa nazista, lascia perdere qualsiasi riferimento politico nelle storie di Tintin. Filonazi forse, fesso no di sicuro.

La storia di Tintin che trasuda maggiormente di spirito collaborazionista è “La stella misteriosa”. Qui il personaggio di Hergé partecipa a una spedizione “scientifica” (in realtà prettamente politica) composta da uno svedese (gli svedesi sono ufficialmente neutrali ma commerciano solo con i tedeschi), uno spagnolo (la Spagna è controllata dal dittatore Franco), un tedesco, uno svizzero (la Svizzera, come la Svezia, è incatenata economicamente alla Germania) e un portoghese (anche il Portogallo è governato da un dittatore).

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Il loro avversario è un banchiere americano dalla faccia da ebreo e dal nome ebraico: Blumenstein nella prima edizione, diventato un innocuo Bohlwinkel nelle edizioni del dopoguerra.


La bandiera americana dei “cattivi” viene trasformata, nelle edizioni del dopoguerra, in una vessillo di fantasia.

L’antisemitismo è il peccato di gran lunga più grave di Hergé. Magari si può chiudere un occhio sul collaborazionismo (l’unico “reato” contestatogli alla fine della guerra), ma non sull’antisemitismo espresso proprio mentre gli ebrei vengono deportati e sterminati.


Qui sopra due ebrei cercano di lucrare sull’ipotetica apocalisse: naturalmente cancellati nelle edizioni del dopoguerra.

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Tanto per non dare adito a dubbi, nella loro missione Tintin e amici viaggiano su un aereo militare tedesco, l’Arado 196.

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Ciononostante, a mio parere, gli episodi di Tintin del “periodo filonazi” di Hergé sono i migliori. In particolare, amo la storia divisa in due parti de “Il segreto del Liocorno” e “Il tesoro di Rakam” trasformata recentemente in un mediocre film da Steven Spielberg.

La disillusione per il crollo dei regimi autoritari, e delle ideologie che li sostenevano, ha provocato sul lungo periodo una sorta di “depressione creativa” in Hergé: se il mondo non è salvabile, che motivo ha Tintin di esistere? Di conseguenza, con il tempo, Tintin abbassa le proprie aspettative: non si tratta quasi più di risolvere una situazione, ma di salvare la pelle lasciando le cose come stanno.

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