FAUSTO E IAIO: SPIRALE DI SANGUE

Avete mai sentito parlare di Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci? Questa storia riguarda alcuni sanguinosi fatti milanesi avvenuti immediatamente dopo il 16 marzo 1978, il giorno in cui i terroristi delle Brigate Rosse rapirono Aldo Moro, il presidente della Democrazia Cristiana.
Ritorno con la memoria a quel periodo, che ho vissuto personalmente.

Abitando nell’Alto Milanese, per andare a Milano prendo il treno con Davide. Lui frequenta la mia stessa scuola ed è compagno di classe di Fausto Tinelli. Nel 1978 regna ancora l’impegno politico. Io faccio parte del gruppo di Democrazia Proletaria, mentre Fausto si definisce “anarco-comunista”. Io e Fausto a volte litighiamo per questioni di poco conto, ma più spesso collaboriamo. È l’unico anarchico costruttivo che conosco, gli altri preferiscono farsi i fatti propri.
Una sera, due giorni dopo il rapimento di Moro, Fausto e il suo inseparabile amico Lorenzo Iannucci, detto Iaio, vengono uccisi da alcuni proiettili sparati da sconosciuti.

Qualche sera dopo, mentre faccio indagini “alternative” per la mia organizzazione politica, entro nella segreteria ormai vuota del liceo per trascrivere i dati di alcuni studenti considerati “sospetti”, anche se mi sembra una perdita di tempo. All’uscita, il mio accompagnatore e io scorgiamo un paio di persone appostate nei luoghi bui della strada. Pensiamo ad agenti di polizia in borghese messi lì di guardia, data la situazione politica incandescente.

Poi vediamo passare il nostro tram e corriamo, ma quando arriviamo alla fermata è già ripartito. Siamo esattamente davanti al cinema Ambrosiano, che oggi è diventato la discoteca Rolling Stone. Corriamo ancora fiancheggiando il tram per raggiungerlo alla vicina fermata successiva. Quando saliamo, notiamo un foro su un finestrino del tram e un altro su quello opposto. I passeggeri, agitatissimi, pensano a una sassata. Più probabilmente, data la forma perfetta e parallela dei piccoli fori di entrata e di uscita nei due finestrini opposti, si è trattato di un proiettile.

Qualcuno deve avere creduto che fossimo saliti alla prima fermata non vedendoci rimanere a terra, perché abbiamo rincorso il tram dalla fiancata opposta rispetto alla posizione del presunto sparatore. Forse con quel proiettile voleva lanciarci un messaggio, o cercare il morto: era stato sparato verso la pedana d’ingresso del tram dove saremmo saliti. Il giorno dopo, passando nello stesso luogo, in un parcheggio di taxi sento smadonnare un tassista che ha trovato il proiettile conficcato nella propria auto.

Il padre di una militante di Lotta continua viene a scuola per chiedere aiuto a noi studenti “politicizzati”. Il giorno prima sua figlia era stata inseguita da un’auto, dal finestrino della quale è spuntata una pistola che però non era riuscita a sparare. All’incontro c’è anche il principale responsabile di Lotta Continua (a Milano una parte di questa organizzazione non si era sciolta due anni prima come nel resto d’Italia), che conferma il fatto perché stava accompagnando la ragazza nel momento dell’attentato. Un po’ pateticamente il padre ci chiede di scortarla per qualche giorno, non potendo andare dalla polizia perché, dice, è un personaggio in vista di una banca.

Alcune settimane dopo, Davide, il compagno di classe di Fausto con il quale prendevo il treno per Milano, viene investito e ucciso da un pirata della strada che, a quanto mi risulta, è rimasto sconosciuto. Davide era il maggiore rappresentante di un altro gruppo politico della scuola, il Movimento lavoratori per il socialismo, per il quale indagava pure lui sulla morte di Fausto e Iaio.

Nessuno ha mai scritto, nei vari libri su Fausto e Iaio, di questi tre presunti attentati: nei confronti miei e del mio accompagnatore, della mia compagna di scuola e dell’altro compagno con il quale prendevo il treno, l’unico purtroppo riuscito.
In questi libri si è parlato solo del caso di un giornalista dell’Unità, Mario Brutto. Il giornalista seguiva con molto impegno le indagini su Fausto e Iaio finché gli hanno sparato tre colpi, mancandolo, poi l’auto dei killer l’ha inseguito fino a investirlo e ucciderlo.
In tutto, quattro attentati o presunti tali. Due dei quali riusciti. Senza contare quello a Fausto e Iaio.

Un funzionario della polizia viene nell’ufficio della preside per sentire noi studenti, ma non gli diamo alcun elemento utile perché vogliamo continuare a fare le indagini per conto nostro e diffidiamo degli organismi dello Stato. Il funzionario cerca di incoraggiarci dicendo che Fausto e Iaio erano due “bravi ragazzi” e che non si drogavano (notizia a noi già pervenuta per vie traverse subito dopo l’autopsia).

Che i due giovani siano stati uccisi perché avevano cercato di inserirsi nel traffico della droga è invece l’incredibile conclusione del responsabile del servizio d’ordine di Democrazia Proletaria, alla fine delle nostre indagini “alternative”… Fermo restando, aggiunge, che avremmo dovuto continuare ad addebitare la responsabilità ai fascisti per opportunità politica! Lo ascolto stranito mentre passeggiamo nei corridoi dell’università Statale. Cerco di contraddirlo, ma la mia opinione non lo interessa. La stessa persona alimenterà la propria carriera politica scrivendo un libro su Fausto e Iaio uccisi dai fascisti.

Torniamo al giorno nell’ufficio del preside. Uscito a mani vuote il funzionario di polizia, uno studente appartenente all’area dura dell’Autonomia Operaia si dice preoccupato perché Fausto teneva in casa “molti documenti” delle Brigate Rosse: se la polizia li avesse trovati ci sarebbero stati guai grossi. La rivelazione non mi colpisce in modo particolare.

In quelle settimane vado un paio di volte a Roma, anche per tenere un comizio (insieme ad altri molto più bravi) nell’unica grande manifestazione del Movimento durante il rapimento Moro.
La città è militarizzata, eppure vedo Bettino Craxi, da poco leader del Partito Socialista, seduto da solo al tavolino esterno di un bar di piazza Navona. Al vernissage di una mostra, invece, vedo irrompere il democristiano Amintore Fanfani (presidente del Senato e a lungo capo del governo) insieme alla scorta armata di mitra.
Craxi non ha nulla da temere essendo favorevole alla trattativa dello Stato con le Brigate Rosse per liberare Moro, mentre tutti gli altri capi politici, compreso Fanfani, sono contrari.

Alla fine del 1978, in via Montenevoso 8 viene scoperta la più importante base delle Brigate Rosse: il loro quartiere generale nazionale con il loro archivio. All’interno vengono arrestati tutti i capi dell’organizzazione, tranne Mario Moretti.
Fausto Tinelli abitava in via Montenevoso 9, esattamente nell’edificio dirimpettaio. Dalla camera di Fausto si vedono perfettamente le tre finestre del covo. Si vedono distintamente le persone che si muovono dentro e, grazie alla buona acustica, si sente anche qualcosa di quello che viene detto. Insomma, la finestra della cameretta di Fausto era a pochi metri dalle finestre dalla base nazionale delle Brigate rosse.

Il parlamentare di Democrazia Proletaria Luigi Cipriani, un omaccione che conosco bene, è il primo a mettere in relazione la base delle Brigate Rosse con l’omicidio, ma nessuno gli dà retta. Rivela che, durante i funerali dei due ragazzi, qualcuno ha scassinato la porta di casa di Fausto e ha rovistato all’interno, presumibilmente portando via qualcosa. E Cipriani, che morirà qualche anno dopo, non sa quello che so io: Fausto aveva in camera documenti delle Brigate Rosse.

Questa è solo una storia di quel lontano passato. Ce ne sarebbero tante altre.
Per esempio, un tizio mi dice che il giovane missino Sergio Ramelli era stato ucciso da alcuni dei nostri, quando facevano parte del gruppo di Avanguardia Operaia prima di confluire in Democrazia Proletaria. Mentre sto lavorando al progetto della prima edizione dell’agenda Smemoranda, vedo passare gli ex di Avanguardia Operaia: riporto quanto mi è stato detto, facendomi una bella risata per quella evidente idiozia. Mi guardano sbalorditi. Anni dopo scoprirò il perché dai giornali: l’avevano davvero ucciso loro.

Vengo circondato da alcuni fascisti e a fatica li convinco di non essere politicizzato, per fortuna non ho addosso nulal di compromettente perché mi perquisicono da cima a fondo. Alcune ore dopo, nella stessa via, viene accoltellato a morte un giovane meno fortunato di me.

Un’altra volta un mio compagno di classe mi chiede consiglio perché vogliono farlo partecipare a un attentato. Dico a quelli che lo hanno reclutato, alcuni compagni di scuola, di lasciarlo perdere facendo fallire l’attentato. Loro si limitano a scrivere “Sauro ti spunta un foro in bocca” sul muro della scuola (parodiando la pubblicità di un dentifricio: “Ti spunta un fiore in bocca”), e qualche tempo dopo uccidono il gioielliere Alberto Torreggiani per conto di Cesare Battisti, il futuro latitante internazionale.

Al mio primo anno di università le Brigate Rosse uccidono il professor Guido Galli sopra l’aula in cui mi trovo, mentre la professoressa continua la lezione come se niente fosse in mezzo agli spari e le urla. Si ferma un attimo per chiederci cosa fare, le propongo di interrompere la lezione.
Molto dopo tutti questi avvenimenti, che delineano un epoca, accade un fatto che sembra ricollegarsi a Fausto e Iaio.

Nel 1990, un muratore risistema il covo di via Montenevoso scoperto dai carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa dodici anni prima davanti alla casa di Fausto. Dietro un muro posticcio trova una grande quantità di documenti con le trascrizioni degli interrogatori di Aldo Moro, il leader della Democrazia Cristiana rapito.

Da questi documenti fino si scopre che non tutto quanto detto da Moro veniva reso pubblico dai comunicati delle Brigate Rosse. In particolare, si apprende per la prima volta che Moro aveva rivelato l’esistenza di Gladio, la struttura ultrasegreta della Nato che avrebbe dovuto organizzare la resistenza in caso d’invasione dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica.

Rivelazione che sconvolge l’opinione pubblica: il piano Gladio prevedeva che tutti i dirigenti del Partito comunista italiano (all’epoca la maggiore formazione dell’opposizione) sarebbero stati arrestati in caso di invasione, e che la resistenza contro l’occupazione sarebbe stata gestita soprattutto da donne appositamente addestrate (insospettabili perché all’epoca non esistevano ancora le soldatesse).

Le Brigate Rosse, in passato, avevano reso noto anche quello specifico documento, togliendo però il cruciale passaggio su Gladio. Forse per rivenderlo all’Unione Sovietica, sicuramente interessata all’informazione. In passato qualcuno ha detto che dietro il rapimento Moro c’era la Cia, il servizio segreto americano. Però nel dossier del Kgb portato in occidente da Vasilij Nikitic Mitrokhin si dice che erano stati i sovietici a orchestrare la campagna di disinformazione per accusare la Cia.

Se invece c’era dietro il Kgb, non nel rapimento di Moro che è stata sicuramente un’idea delle Brigate Rosse, bensì nello sfruttamento “spionistico” della vicenda, si capisce perché si sia cercato di colpire chi stava indagando sulla morte di Fausto e Iaio: due ragazzi che forse sapevano troppo e potevano creare dei fastidi proprio quando Moro era stato appena rapito.
Uccidere simulando incidenti automobilistici è notoriamente la tecnica preferita dai servizi segreti.

Tra parentesi, dal momento che le Brigate Rosse hanno venduto le informazioni su Gladio ai sovietici (non si spiegherebbe altrimenti la loro cancellazione nei documenti resi pubblici), Aldo Moro doveva essere ucciso per forza, altrimenti avrebbe avvertito la Nato che quel piano cruciale non era più segreto.